Ethan
La testa gira,
gira da morire. Dio, fa così male. Ma quanto ho bevuto? E la musica dov’è
finita?
- Ethan? Ehi, Ethan stai male?
Ethan chi è?
Giusto, è il mio
nome.
Ethan, ma che
nome strano poi. Che l’abbia deciso lui o mia madre?
- Eth, ehi
amico. Ti riporto a casa vieni.
Cerco di trovare
la gola e poi la lingua per parlare. Non posso tornare messo così, c’è mio
fratello a casa questa sera.
- Juliet.
Dico un nome
solo, il primo che mi viene in mente. Dico un nome solo, l’unico che esce dalle
mie labbra senza disprezzo. Dico un nome solo, perchè lei è l’unica che per me
ci sarà sempre.
- Eth, sei
sicuro? I suoi ti hanno già detto di starle lontano se non ricordo male.
Finisci davvero nei casini sto giro.
- Juliet.
Non riesco a
dire altro e spero che Eddie ascolti quello che sto cercando di dire. Devo
andare da lei.
Eddie mi carica
in macchina e mi da una mano ad arrivare fino alla finestra della sua stanza.
- Vai.
- Sicuro?
- Vai.
Inizio a
picchiare piano sperando di non svegliare i suoi genitori ma quando vedo che
non mi risponde batto più forte.
Mi appoggio alla
parete per non cadere a terra e finalmente sento la sua voce. La sua voce. È
così musicale. Così unica. È lei, come in tutti quei giorni d’estate di quando
eravamo bambini.
Lei, che mi ha
fatto fare un sorriso il giorno in cui lui se n’è andato via. Lei, che
ringrazierò a vita per non farmi sentire una persona così pessima.
Non mi ricordo
come ho fatto ad arrivare al letto, non mi ricordo nulla. Mi ricordo di lei che
si sdraia accanto a me. Mi ricordo che le mie mani l’hanno trovata fin troppo
facilmente e lei ha sospirato di piacere. Mi ricordo che l’ho baciata, come
sempre. E come sempre ho finto di non ricordare, lei si accontenta anche solo
di questo.
Lei mi ama.
Io non rovinerò
tutto.
***
-Ethan smettila.
Uno schiaffo che arriva potente ma fa molto
più male al cuore che alla guancia.
- Se n’è andato. Basta, calmati.
E poi un abbraccio. No, io non ci sto. Non
dopo questo schiaffo, non dopo tutte queste bugie.
Papà ma dove sei andato? Perché non mi hai
portato con te?
Le lacrime di un bambino. Le lacrime che non
sono dovute ad un giocattolo o ad una ferita. Lacrime che lasciano solchi
profondi nell’anima.
Corro, corro fino a non sentire aria nei
polmoni. Corro perché voglio sentirmi la morte dentro. Corro perché spero di
raggiungerti, ovunque tu sia.
Papà.
Papà.
Un passo, poi un altro.
Papà.
Urlo, urlo fuori tutto e poi le lacrime
ancora. Lacrime, ma nessuno si ferma. Nessuno mi chiede nulla. Nessuno mi
aiuta.
Papà sono solo senza di te.
Papà.
Papà.
Papà perché mi fai questo?
Perché?
Ti prego, farò il bravo.
Farò qualunque cosa ma torna, torna da me se
non vuoi tornare per la mamma.
Torna per quel bambino che ha nella sua
pancia.
Torna per venire a vedermi al campo da
calcio.
Torna perché ho bisogno di te. Io non sono
un uomo.
Mi siedo e non riesco a cacciare le lacrime
dentro di nuovo.
Una bambina con un vestitino a fiori blu e
bianco si ferma a guardarmi. Ha gli occhi marroni. Ha gli occhi strani,
curiosi, tristi.
Senza motivo faccio un sorriso.
Un sorriso nel giorno più brutto di tutta la
mia vita.
Un sorriso che le porgerò tutti i giorni,
per pagare il mio debito.