domenica 21 settembre 2014

Pensavo di salvarti #1

Juliet
Buio. Credo siano le tre di notte ma sveglia segna la mezzanotte e non capisco se possa davvero essere così presto o se io sia ancora addormentata.
Sento un rumore provenire dalla finestra ma cerco di ignorarlo. Ho sonno e domani mattina c’è scuola.
Il rumore si fa più forte e finalmente capisco cosa possa essere.
- Va bene, va bene. Ti apro, piantala che se mi sentono i miei mi ammazzano.
Alzo le persiane e faccio entrate il mio barcollante amico.
- Ethan, che diavolo hai combinato questa volta?!
- Non urlare per favore.
- Sto sussurrando appena scemo. Quanto hai bevuto?
Alza la mano e scaccia via le mie parole.
Sospiro e lo aiuto ad arrivare al letto. Lui non fa nulla per aiutarmi e si butta giù sul letto di peso facendo cigolare le molle.
Se i miei mi sentono è la volta buona che mi uccidono.
- Grazie.
Strascica le parole e chiude gli occhi portandosi il braccio a coprirli.
- Eth, ti viene da vomitare? Vuoi che ti prenda qualcosa?
- Bene.. così.
- Sei sicuro?
- Sssi.
Sospiro ancora e maledico quel giorno in cui mio padre ha montato in giardino quella sottospecie di veranda che permette di raggiungere il mio balcone senza sforzarsi troppo.
Ethan inizia a dormire e lascia scivolare giù il braccio. Il suo respiro si fa regolare e il ciuffo nero si posa sopra gli occhi.
Gli sposto dolcemente il ciuffo e lo guardo dormire ascoltando il suono del suo respiro. È così bello.
Bello con quel sorriso che ha spezzato mille cuori, bello con il tatuaggio sul fianco, bello con gli occhi scuri e i capelli sempre per aria, bello con quell’aria da persona vissuta, bello con quelle mani che hanno toccato troppi corpi. Bello e dannato. Bello, il mio migliore amico è bello ma deve smetterla di farmi battere il cuore, smettere di fingere di non saperlo, smetterla con la vita che fa e nella quale da un po’ sono stata trascinata anche io.
Ti ho conosciuto troppo presto Eth, o forse troppo tardi.
Mi ricordo ancora quella mattina. Avevo sei anni e stavo giocando a nascondino con gli altri bambini al parco, ti ho visto piangere in una panchina e mi sono fermata a guardarti.
Tu continuavi a tenere la testa bassa e piangevi. Non c’era nessuno con te. Mi ricordo che mi ero sentita sola quanto te in quel momento. Ricordo uno per uno i singhiozzi.
Ricordo che mi trovarono subito a nascondino ma quando tu alzasti il viso e mi fissasti con quegli occhi color cenere dimenticai ogni cosa. Erano arrossati e avevi i capelli che te li coprivano.
Undici anni avevi, undici. Eppure quando mi vedesti li, capisti subito che veder piangere qualcuno mi faceva male e facesti un sorriso. Un sorriso bagnato.
Mi hai preso la mano e ti sei presentato.
Io sono corsa via, mi sono andata a nascondere dietro un albero e tu ti sei alzato e mi hai fatto ciao con la mano.
Quanti ciao con la mano mi hai fatto prima che io ritrovassi il coraggio di avvicinarmi a te Ethan? Quanti? Duecento, trecento? Quante volte sei venuto al parco a giocare a pallone con gli amici e nonostante tutto mi hai rivolto un sorriso?

La nostra amicizia è nata senza un senso eppure siamo ancora qui, insieme.

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