venerdì 24 aprile 2015

Pensavo di salvarti #15


Juliet

Sto passeggiando al mare con Ethan e lui mi stringe la mano. Passo le dita fra la sabbia e lui ride prendendo in giro i miei piedi.

- Oh, eddai, Juliet, sono proprio bruttini.

- Non è vero Eth, sono solo incompresi.

- Incomprese sono le persone, non le tue dita dei piedi, tesoro!

Mi stuzzica e io rispondo a tono. Ci divertiamo così noi. Noi, che bella parola, magari ci fosse davvero un noi, ma non c’è. Anche se sarebbe così facile fallo voltare per scherzo e poi zac rubargli un bacio, lui non si tirerebbe indietro e poi faremmo l’amore fra la sabbia ridendo e regalandoci sorrisi.

- Guarda Juliet un gabbiano.

Mi volto di scatto per vederlo e la mia testa sbatte contro il muro.

Muro?

Apro gli occhi piano cercando di mettere a fuoco cosa mi circonda e mi accorgo di essere nella mia stanza, sotto le coperte e ho appena sbattuto la testa proprio contro il muro.

L’ho sognato ancora. Lo sogno tutte le notti.

Mi volto verso l’orologio che segna le cinque e mezza e sospiro. Ancora qualche ora di tortura e poi potrò fingere di non essere sola in una stanza affollata invece che al buio. È più difficile mentire con se stessi al buio.

Guardo la finestra e mi accorgo solo ora che anche ieri sera l’ho dimenticata aperta. Nel mio inconscio penso di farlo apposta. La lascio aperta perché aspetto il ritorno di qualcuno. Aspetto lui, come sempre. Stupida, stupida, stupida, mi ripeto dentro, ma non funziona, ma non basta.

Ora credo di capire come si sentisse Penelope, ad attendere un uomo che non sapeva se sarebbe tornato, come sarebbe tornato, quando sarebbe tornato. Penelope tesseva la sua tela e poi la disfaceva solo per poter guadagnare tempo nell’attesa di suo marito. Forse il so cuore le ripeteva ogni giorno “solo oggi, solo ancora oggi” e poi si sa, non è mai solo oggi.

È domani, e il giorno dopo e il giorno dopo ancora.

Se lo ami, lo aspetti anche tutta la vita che tu lo dimostri o meno. Lo aspetti sposando un altro e facendoci dei figli magari, ma lo aspetti, ma lasci sempre una finestra un po’ aperta sperando che il vento sia clemente e ti porti il suo odore.

Mi giro su un fianco e chiudo gli occhi, pronti alle lacrime.

Questi giorni si sono presi troppe lacrime, non posso piangere anche oggi, non posso.

Audrey ultimamente mi chiama annaffiatoio. Molto ingiusto da parte sua che da quando ha conosciuto Francisco, o come lo chiama lei “il mio Francisco”, non fa altro che sorridere e sospirare descrivendo quanto sia meraviglioso.

Sono felice per lei, è ovvio. È la mia migliore amica ma… ma non riesco a non essere gelosa. Ogni volta che si prendono per mano o lui le apre la porta io sento una fitta di gelosia. Non di lui, non le invidio il ragazzo, le invidio la facilità del suo amore. I gesti spontanei. Gli sguardi persi.  Insomma, loro si sono conosciuti, sono usciti due volte e poi sono diventati inseparabili. E a me? A me perché non è successa una cosa del genere? Perché dovevo innamorarmi di un ragazzo così difficile? Così impossibile?

Scalcio via le coperte e mi alzo sbattendo la mano sull’interruttore per accendere la luce.

Apro l’armadio e inizio a frugare in mezzo ai vestiti, ero sicura di averlo messo qui.

Trovato! Prendo l’i-pod in mano e inizio a districare le cuffiette che come sempre sono intrecciate. Dopo qualche secondo mi infilo le cuffie e scorro la mia playlist.

Bello e impossibile.

Mi rintano sotto le coperte e sento riecheggiare nella mia mente il testo della canzone.

Bello e impossibile.

Sei tu.

Dopo quelle che sembrano ore ma in realtà sono solo pochi minuti con la coda dell’occhio vedo la porta della mia stanza aprirsi piano e mio fratello entrare con un sorriso malinconico sulle labbra.

Indossa la sua divisa stirata e lavata con al petto una medaglia e sono certa che abbia già pronto il cappello da qualche parte.

- Non pensavo di trovarti sveglia…

- Te ne saresti andato anche questa volta senza salutare, vero?

Eric si morde il labbro e sospira.

- Non mi piacciono le lacrime, dovresti saperlo.

Si sposta di qualche passo in avanti e poi sembra ripensarci e ne fa uno indietro. Lo guarda negli occhi e vorrei tanto vederci le lacrime, vorrei tanto che fosse triste quanto me all’idea di abbandonarmi ancora. Sono così egoista.

Alla fine muove la mano facendo un gesto strano e si siede sul mio letto abbracciandomi.

- Mi mancherai tanto, tornado. Davvero tanto. Mi manchi sempre tanto.

- Non andare.

- Devo – si massaggia il mento con la mano e continua – E’ il mio dovere, Juls. Voglio lottare per un mondo migliore.

E per me chi lotta? Chi resta qua accanto a me a lottare? Chi c’è ora?

Scuoto la testa decisa e inizio a piangere.

Eric allunga una mano e passa le dita fra i miei capelli.

- Piangi per me o per lui?

- Per tutto, Eric. Per tutto, ho paura di rimanere sola.

- Sono sempre con te, sorellina. Sempre, te lo giuro. E cercherò di chiamarti ogni volta che posso.

Annuisco e provo a sorridergli ma non credo di fare nulla di meglio di una smorfia.

Mio fratello esce dalla mia stanza e dopo qualche minuto di parole sussurrate che riecheggiano nella mia stanza dal piano di sotto la porta di casa sbatte e il vuoto mi riempie lo stomaco.

Come possa il vuoto riempire non lo capirò mai.

Nessun commento:

Posta un commento