Ethan
Sbatto la
portiera dell’auto e inizio a tirare calci alla gomma. Ma perché la vita
dev’essere così dura? Cazzo, Ste, dove sei finito tu? Senza di te non ce la
faccio. Non ce la faccio, capito?
Entro in casa
veloce. Mollando le chiavi dove capitano, che finiscono sul tavolo e fanno
rumore. Sento qualcosa muoversi sul divano e mi avvicino piano e incerto.
Credevo che stasera non ci sarebbe stata mia madre.
Samuel si rigira
fra le coperte e si stropiccia i suoi piccoli occhi prima di sbadigliare il mio
nome.
- Sam, ma sei
solo?
Samuel annuisce
ancora addormentato. Credevo che questa sera sarebbe andato al lavoro con mia
madre, non ho pensato nemmeno per un secondo che fosse solo altrimenti non
sarei uscito.
Gli accarezzo
dolcemente i ciuffi neri dei capelli che gli ricadono sul viso. E’ così bello.
Ha le fossette tipiche dei bambini e dei dentini piccoli che quando sorride si
vedono appena. Le guanciotte rosse perennemente e due occhi azzurri che secondo
me sono il colore del paradiso. Credo che mio fratello sia una delle poche cose
belle nella mia vita.
Sam mi si
accoccola vicino e si rimette a dormire. Lo prendo in braccio tenendolo al
caldo sotto la coperta e salgo le scale con calma, attento a non svegliarlo
ancora.
Il mio angelo.
Vado verso la
sua camera ma prima di entrare cambio idea e mi dirigo verso la camera di mia
madre. Alzo le coperte, sempre con Samuel in braccio, e lo metto delicatamente
nel lettone.
Lui sospira
contento e quel suono è meglio di tutti i grazie del mondo.
Vado in camera
mia, mi levo i vestiti in fretta e faccio una doccia il più velocemente
possibile. Ora che sono solo le immagini del sangue tornano a tormentarmi.
Possibile che non riesca a vedere una goccia di sangue senza sentire i conati
di vomito?
Spengo l’acqua e
mi appoggio alla doccia, restando immobile ad ascoltare le goccioline che
scendono dal mio corpo lentamente.
Sono stanco.
Stanco di pensare, stanco di agire, stanco di tutto.
Indosso un paio
di boxer e raggiungo mio fratello in camera di mia madre. Mi sistemo sotto le
coperte e lui, sentendomi vicino, si appoggia al mio petto e mi stringe con la
manina. Chiudo gli occhi e per la prima volta dopo tanto tempo, non ho incubi.
Mia madre ci
trova abbracciati sul suo letto quando ritorna e sono sicuro di aver sentito le
sue labbra posarsi sulla mia fronte.
Alle sette e un
quarto la sveglia si mette fastidiosamente a suonare e mi ci vogliono parecchie
manate al comodino per capire che non sono nella mia stanza e che la mia
sveglia è al di là del corridoio. Ma quando ho preso un respiro e sono pronto
ad alzarmi la sveglia smette di suonare. Mi alzo e vado verso camera mia
scoprendoci dentro mia madre intenta ad osservare la sveglia.
- Te l’ha
regalata Juliet questa vero?
Mi sorride, mia
madre mi sta sorridendo.
- Si, qualche
anno fa. E’.. beh è praticamente rotta. Suona quando vuole ma non voglio ancora
buttarla.
Continua a
sorridermi e io arrossisco in imbarazzo. Non so cosa dire, è parecchio che non
parliamo o anche semplicemente che ci proviamo.
Poi noto il
segno delle occhiaie sul suo viso e mi rendo conto che lei deve essere stanca
dopo aver passato tutta la notte in ambulatorio. È un bravo medico, una brava
madre, ma da quanto ho visto fino ad ora non riesce ad essere entrambe.
Se scegli di
fare della tua vita il tuo lavoro, non importa per quale motivo, non dovresti
avere figli.
Ho sempre
pensato che sia meglio una creatura al mondo in meno che una creatura infelice
in più. Eppure, eppure sono contento che dopo l’errore, cioè io, mi abbia
regalato Samuel.
- Mamma, vai a
riposarti, devi essere distrutta.
- Non è niente
Ethan. So che magari hai da fare le tue cose ma visto che oggi sono a casa pensavo
che magari potevamo..
- Non devi
parlare con me, mamma. Stai con Samuel, lui ha bisogno di te, non io.
Mamma, sono un
bugiardo. Lo vorrei anch’io un tuo abbraccio ma non riesco a perdonarti. Non
riesco a perdonarti le tue continue assenze, le tue scuse, le tue promesse
infrante.
Non mi hai mai
portato alle giostre, non sei mai andata a parlare con i miei insegnanti se non
quando ti chiamavano, non hai mai.. non hai mai messo me davanti a tutto.
- Ethan, per
favore…
Gli occhi le si
riempiono di lacrime e il labbro le trema un po’. Le nasce una piccola rughetta
intorno all’occhi sinistro e abbassa lo sguardo quando la sua voce si spegne da
sola.
Impacciato, mi
avvicino e la abbraccio. Mi fa strano, mi fa sentire in pace e allo stesso
tempo all’inferno, sento un fuoco dentro. Non ho idea di come si fa ad
abbracciare una madre ma penso che se la tengo stretta tanto basta. Le sue mani
si aggrappano a me e credo che se potesse non mi lascerebbe più andare. Ma è
solo un momento, poi ritorna l’Ethan freddo e distaccato, poi ritorna l’Ethan
razionale. Mi stacco da lei, dolce ma deciso e in un soffio le dico:
- Porta al parco
Samuel.
Esco dalla
camera, prendo i pantaloni e la maglia che avevo lasciato in camera di Samuel
qualche giorno prima e li infilo veloce. Scendo le scale due a due, cerco fra
le cavolate in frigo un po’ di latte e lo bevo direttamente dalla bottiglia.
Afferro le chiavi dalla tavola e me ne vado.
Vado a fare un
giro, in nessun posto preciso. Ma quando mi volto e vedo la casa gialla in
fondo alla via spiccare fra tutte le altre, decido che l’unico posto dove
voglio stare è con te, Ste.
Entro in
macchina e guido senza prestare troppa attenzione al limite di velocità, nella
vita ci sono tante cose che uccidono. Nella vita se si rispettano i limiti si
morirà con rimpianti.
Parcheggio
all’ombra e scavalco il cancello in ferro chiuso, un attimo dopo mi ritrovo
davanti a te.
- Ciao, Stefano.
Tocco la tua
foto attaccata alla lapide e sorrido, pronto ad una bella chiacchierata.
Ogni tanto
degnati di rispondermi amico.
Nessun commento:
Posta un commento