mercoledì 7 gennaio 2015

Pensavo di salvarti #10



Ethan
Sbatto la portiera dell’auto e inizio a tirare calci alla gomma. Ma perché la vita dev’essere così dura? Cazzo, Ste, dove sei finito tu? Senza di te non ce la faccio. Non ce la faccio, capito?
Entro in casa veloce. Mollando le chiavi dove capitano, che finiscono sul tavolo e fanno rumore. Sento qualcosa muoversi sul divano e mi avvicino piano e incerto. Credevo che stasera non ci sarebbe stata mia madre.
Samuel si rigira fra le coperte e si stropiccia i suoi piccoli occhi prima di sbadigliare il mio nome.
- Sam, ma sei solo?
Samuel annuisce ancora addormentato. Credevo che questa sera sarebbe andato al lavoro con mia madre, non ho pensato nemmeno per un secondo che fosse solo altrimenti non sarei uscito.
Gli accarezzo dolcemente i ciuffi neri dei capelli che gli ricadono sul viso. E’ così bello. Ha le fossette tipiche dei bambini e dei dentini piccoli che quando sorride si vedono appena. Le guanciotte rosse perennemente e due occhi azzurri che secondo me sono il colore del paradiso. Credo che mio fratello sia una delle poche cose belle nella mia vita.
Sam mi si accoccola vicino e si rimette a dormire. Lo prendo in braccio tenendolo al caldo sotto la coperta e salgo le scale con calma, attento a non svegliarlo ancora.
Il mio angelo.
Vado verso la sua camera ma prima di entrare cambio idea e mi dirigo verso la camera di mia madre. Alzo le coperte, sempre con Samuel in braccio, e lo metto delicatamente nel lettone.
Lui sospira contento e quel suono è meglio di tutti i grazie del mondo.
Vado in camera mia, mi levo i vestiti in fretta e faccio una doccia il più velocemente possibile. Ora che sono solo le immagini del sangue tornano a tormentarmi. Possibile che non riesca a vedere una goccia di sangue senza sentire i conati di vomito?
Spengo l’acqua e mi appoggio alla doccia, restando immobile ad ascoltare le goccioline che scendono dal mio corpo lentamente.
Sono stanco. Stanco di pensare, stanco di agire, stanco di tutto.
Indosso un paio di boxer e raggiungo mio fratello in camera di mia madre. Mi sistemo sotto le coperte e lui, sentendomi vicino, si appoggia al mio petto e mi stringe con la manina. Chiudo gli occhi e per la prima volta dopo tanto tempo, non ho incubi.
Mia madre ci trova abbracciati sul suo letto quando ritorna e sono sicuro di aver sentito le sue labbra posarsi sulla mia fronte.
Alle sette e un quarto la sveglia si mette fastidiosamente a suonare e mi ci vogliono parecchie manate al comodino per capire che non sono nella mia stanza e che la mia sveglia è al di là del corridoio. Ma quando ho preso un respiro e sono pronto ad alzarmi la sveglia smette di suonare. Mi alzo e vado verso camera mia scoprendoci dentro mia madre intenta ad osservare la sveglia.
- Te l’ha regalata Juliet questa vero?
Mi sorride, mia madre mi sta sorridendo.
- Si, qualche anno fa. E’.. beh è praticamente rotta. Suona quando vuole ma non voglio ancora buttarla.
Continua a sorridermi e io arrossisco in imbarazzo. Non so cosa dire, è parecchio che non parliamo o anche semplicemente che ci proviamo.
Poi noto il segno delle occhiaie sul suo viso e mi rendo conto che lei deve essere stanca dopo aver passato tutta la notte in ambulatorio. È un bravo medico, una brava madre, ma da quanto ho visto fino ad ora non riesce ad essere entrambe.
Se scegli di fare della tua vita il tuo lavoro, non importa per quale motivo, non dovresti avere figli.
Ho sempre pensato che sia meglio una creatura al mondo in meno che una creatura infelice in più. Eppure, eppure sono contento che dopo l’errore, cioè io, mi abbia regalato Samuel.
- Mamma, vai a riposarti, devi essere distrutta.
- Non è niente Ethan. So che magari hai da fare le tue cose ma visto che oggi sono a casa pensavo che magari potevamo..
- Non devi parlare con me, mamma. Stai con Samuel, lui ha bisogno di te, non io.
Mamma, sono un bugiardo. Lo vorrei anch’io un tuo abbraccio ma non riesco a perdonarti. Non riesco a perdonarti le tue continue assenze, le tue scuse, le tue promesse infrante.
Non mi hai mai portato alle giostre, non sei mai andata a parlare con i miei insegnanti se non quando ti chiamavano, non hai mai.. non hai mai messo me davanti a tutto.
- Ethan, per favore…
Gli occhi le si riempiono di lacrime e il labbro le trema un po’. Le nasce una piccola rughetta intorno all’occhi sinistro e abbassa lo sguardo quando la sua voce si spegne da sola.
Impacciato, mi avvicino e la abbraccio. Mi fa strano, mi fa sentire in pace e allo stesso tempo all’inferno, sento un fuoco dentro. Non ho idea di come si fa ad abbracciare una madre ma penso che se la tengo stretta tanto basta. Le sue mani si aggrappano a me e credo che se potesse non mi lascerebbe più andare. Ma è solo un momento, poi ritorna l’Ethan freddo e distaccato, poi ritorna l’Ethan razionale. Mi stacco da lei, dolce ma deciso e in un soffio le dico:
- Porta al parco Samuel.
Esco dalla camera, prendo i pantaloni e la maglia che avevo lasciato in camera di Samuel qualche giorno prima e li infilo veloce. Scendo le scale due a due, cerco fra le cavolate in frigo un po’ di latte e lo bevo direttamente dalla bottiglia. Afferro le chiavi dalla tavola e me ne vado.
Vado a fare un giro, in nessun posto preciso. Ma quando mi volto e vedo la casa gialla in fondo alla via spiccare fra tutte le altre, decido che l’unico posto dove voglio stare è con te, Ste.
Entro in macchina e guido senza prestare troppa attenzione al limite di velocità, nella vita ci sono tante cose che uccidono. Nella vita se si rispettano i limiti si morirà con rimpianti.
Parcheggio all’ombra e scavalco il cancello in ferro chiuso, un attimo dopo mi ritrovo davanti a te.
- Ciao, Stefano.
Tocco la tua foto attaccata alla lapide e sorrido, pronto ad una bella chiacchierata.
Ogni tanto degnati di rispondermi amico.

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