domenica 2 novembre 2014

Pensavo di salvarti #6

Ethan
Mi annoio. Pura noia, mentre sono disteso sul letto.
Di chiamare una ragazza niente da fare, sono tutte a scuola.
Scuola. Magari potrei andarci.
Guardo l’orologio. Le undici. Troppo tardi e poi non è che mi vada così tanto. Starsene seduti immobili e ascoltare una lezione non è il mio forte.
E pensare che una volta avevo tutti otto e nove. Mi basta leggere e le cose mi entrano in testa senza nessuno sforzo, ma ora non leggo nemmeno più.
La vita è breve, bisogna godersela fino alla fine. Non c’è tempo per storia e matematica. Non c’è tempo per Leopardi e Newton. Non c’è tempo nemmeno per te stesso in realtà.
Il cappello è ancora sulla mia scrivania. Non riesco a resistere di più. Lo prendo e lo metto nuovamente dentro l’armadio.
Fa così male pensare a te, Ste. Così male.
Accendo il computer e controllo la posta elettronica. Messaggi di ragazze che nemmeno mi ricordo, messaggi di ragazze con cui ho fatto sesso e non hanno saputo far altro che lasciare indifferenti segni sul corpo.
Entro in Facebook e vedo messaggi pure li. Li cancello senza leggerli e poi passo offline in chat. Non vorrei che qualcuna mi scrivesse. Non sono dell’umore adatto.
Entro nella mia pagina, quella creata da poche ore e resto basito. Settantotto fan e undici commenti a ciò che ho scritto.
Ste; già mi stai simpatico.
Almeno uno sincero!
Gli stronzi attizzano!
Sono entrata qui per sbaglio, cavoli che parole ragazzo…
Lascio perdere il resto dei commenti e spengo tutto. È stata una cavolata. Non avrei mai dovuto aprire questa pagina.
Non smettere mai di scrivere Ethan.
Le parole di Ste mi arrivano alla mente, senza che io possa farci nulla.
Ti avevo promesso che non avrei smesso di scrive vero? Eppure non scrivo da quando te ne sei andato.
Prendo fuori il mio vecchio diario, tutto impolverato e ricoperto di foto, delle nostre foto, e inizio a leggere.

Piacere mi chiamo Ethan; e sono un cretino.
Diciannove anni di esistenza, nessun principio, troppe sigarette fumate e troppe vite consumate. Occhi scuri  e capelli neri, color cenere anzi. Magari domani me li coloro di blu, e mi metto anche le lenti a contatto. Ma non credi basti a cambiarmi. Nemmeno li facessi arancione diventerei qualcun altro, qualcuno di cui potersi fidare. Quindi i capelli e gli occhi li tengo così, e pure le magliette e i jeans che mia madre definisce stracci da duecento euro. Magari provo a cambiare dentro, a mettere la testa a posto. Oppure chiedo a Lei di cambiarmi, chiedo a lei di farmi rinascere. Le chiedo di andare in un’altra dimensione, in una in cui si possa abbandonare completamente a me, in una in cui non mi dispiaccia passeggiare tenendola per mano o piangere quando qualche mio amico mi delude. Ci andrei solo con lei, solo per lei, in quella dimensione.  Sapete una cosa? Ci vado ora a dirglielo. Vado sotto la sua finestra e le dico che sono già cambiato, che lei mi ha cambiato. Dopotutto sono qui a scrivere di lei. Varrà pur qualche credito extra; ma siamo ancora nella mia dimensione. Nella dimensione in cui non le direi mai davvero quanto vale. Nella dimensione in cui non le direi mai di aver scritto di lei.
Domani è un altro giorno. Domani forse cambio. Oggi me lo godo. Oggi sono ancora un cretino con solo diciannove anni alle spalle.

Ti spezzerò il cuore.
E pure l’anima e il corpo. Ti distruggerò fin dentro le cavità delle tue ali, angelo mio. Senza troppi problemi, senza troppe scommesse o domande. Solo con una nottata con me. Perché io al mattino non ci sarò. Approfitterò del tuo cuore che urla e me ne uscirò indisturbato. Senza lasciare biglietti o numeri di telefono. Senza nome e cognome. Senza raccontarti chi sono davvero.
E’ la cosa che so far meglio correre via. Ed è un po’ un dono perché se mi fermassi a tenerti fra la braccia potrei non avere il coraggio di vestirmi e chiudere la porta in silenzio. Potrei non avere il coraggio di non macchiare centomila foglietti di inchiostro tanto per essere sicuro che uno lo troverai. Li metterei attaccati ovunque, e ti scrivere il mio numero anche sul corpo. Con l’indelebile.
Ma io scappo, io corro lontano dalle tue nuove lacrime, lontano dalle mie, di lacrime. Lontano da chi potrei essere solo con un bacio sulla tua guancia. Lontano perché il mal d’amore mi terrorizza. Lontano perché l’elisir che potrebbe curarmi se mi ammalassi fino in fondo, lo devono ancora inventare, e il tempo che dovrebbe aiutare non è abbastanza come garanzia.
Corro e nemmeno so dove sto andando.
Corro via da me stesso e da quella camera.
Corro via da te, cuor mio.

Richiudo frettolosamente il diario e ricaccio dentro le lacrime. Sono tutte stupidate. Io non ho mai avuto talento. Io ho talento solo per deludere le persone.
Pensare che ci credevo pure. Ci credevo di poter diventare scrittore.

Allontano il diario spingendolo fino all’angolo della scrivania e mi posiziono davanti alla tastiera. Le dita sui tasti scorrono veloci e dopo tanto tempo mi libero, almeno un po’, e mi sento meno solo. Meno solo anche se lei è sempre con me.

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