Ethan
Mi annoio. Pura noia, mentre sono disteso sul letto.
Di chiamare una ragazza niente da fare, sono tutte a scuola.
Scuola. Magari potrei andarci.
Guardo l’orologio. Le undici. Troppo tardi e poi non è che
mi vada così tanto. Starsene seduti immobili e ascoltare una lezione non è il
mio forte.
E pensare che una volta avevo tutti otto e nove. Mi basta
leggere e le cose mi entrano in testa senza nessuno sforzo, ma ora non leggo
nemmeno più.
La vita è breve, bisogna godersela fino alla fine. Non c’è
tempo per storia e matematica. Non c’è tempo per Leopardi e Newton. Non c’è
tempo nemmeno per te stesso in realtà.
Il cappello è ancora sulla mia scrivania. Non riesco a resistere
di più. Lo prendo e lo metto nuovamente dentro l’armadio.
Fa così male pensare a te, Ste. Così male.
Accendo il computer e controllo la posta elettronica.
Messaggi di ragazze che nemmeno mi ricordo, messaggi di ragazze con cui ho
fatto sesso e non hanno saputo far altro che lasciare indifferenti segni sul
corpo.
Entro in Facebook e vedo messaggi pure li. Li cancello senza
leggerli e poi passo offline in chat. Non vorrei che qualcuna mi scrivesse. Non
sono dell’umore adatto.
Entro nella mia pagina, quella creata da poche ore e resto
basito. Settantotto fan e undici commenti a ciò che ho scritto.
Ste; già mi stai
simpatico.
Almeno uno sincero!
Gli stronzi attizzano!
Sono entrata qui per
sbaglio, cavoli che parole ragazzo…
Lascio perdere il resto dei commenti e spengo tutto. È stata
una cavolata. Non avrei mai dovuto aprire questa pagina.
Non smettere mai di scrivere Ethan.
Le parole di Ste mi arrivano alla mente, senza che io possa
farci nulla.
Ti avevo promesso che non avrei smesso di scrive vero? Eppure
non scrivo da quando te ne sei andato.
Prendo fuori il mio vecchio diario, tutto impolverato e
ricoperto di foto, delle nostre foto, e inizio a leggere.
Piacere mi chiamo Ethan; e sono un cretino.
Diciannove anni di
esistenza, nessun principio, troppe sigarette fumate e troppe vite consumate.
Occhi scuri e capelli neri, color cenere
anzi. Magari domani me li coloro di blu, e mi metto anche le lenti a contatto.
Ma non credi basti a cambiarmi. Nemmeno li facessi arancione diventerei qualcun
altro, qualcuno di cui potersi fidare. Quindi i capelli e gli occhi li tengo
così, e pure le magliette e i jeans che mia madre definisce stracci da duecento
euro. Magari provo a cambiare dentro, a mettere la testa a posto. Oppure chiedo
a Lei di cambiarmi, chiedo a lei di farmi rinascere. Le chiedo di andare in
un’altra dimensione, in una in cui si possa abbandonare completamente a me, in
una in cui non mi dispiaccia passeggiare tenendola per mano o piangere quando
qualche mio amico mi delude. Ci andrei solo con lei, solo per lei, in quella
dimensione. Sapete una cosa? Ci vado ora
a dirglielo. Vado sotto la sua finestra e le dico che sono già cambiato, che
lei mi ha cambiato. Dopotutto sono qui a scrivere di lei. Varrà pur qualche
credito extra; ma siamo ancora nella mia dimensione. Nella dimensione in cui
non le direi mai davvero quanto vale. Nella dimensione in cui non le direi mai
di aver scritto di lei.
Domani è un altro
giorno. Domani forse cambio. Oggi me lo godo. Oggi sono ancora un cretino con
solo diciannove anni alle spalle.
Ti spezzerò il cuore.
E pure l’anima e il
corpo. Ti distruggerò fin dentro le cavità delle tue ali, angelo mio. Senza
troppi problemi, senza troppe scommesse o domande. Solo con una nottata con me.
Perché io al mattino non ci sarò. Approfitterò del tuo cuore che urla e me ne
uscirò indisturbato. Senza lasciare biglietti o numeri di telefono. Senza nome
e cognome. Senza raccontarti chi sono davvero.
E’ la cosa che so far
meglio correre via. Ed è un po’ un dono perché se mi fermassi a tenerti fra la
braccia potrei non avere il coraggio di vestirmi e chiudere la porta in
silenzio. Potrei non avere il coraggio di non macchiare centomila foglietti di
inchiostro tanto per essere sicuro che uno lo troverai. Li metterei attaccati
ovunque, e ti scrivere il mio numero anche sul corpo. Con l’indelebile.
Ma io scappo, io corro
lontano dalle tue nuove lacrime, lontano dalle mie, di lacrime. Lontano da chi
potrei essere solo con un bacio sulla tua guancia. Lontano perché il mal
d’amore mi terrorizza. Lontano perché l’elisir che potrebbe curarmi se mi
ammalassi fino in fondo, lo devono ancora inventare, e il tempo che dovrebbe
aiutare non è abbastanza come garanzia.
Corro e nemmeno so
dove sto andando.
Corro via da me stesso
e da quella camera.
Corro via da te, cuor
mio.
Richiudo frettolosamente il diario e ricaccio dentro le
lacrime. Sono tutte stupidate. Io non ho mai avuto talento. Io ho talento solo
per deludere le persone.
Pensare che ci credevo pure. Ci credevo di poter diventare
scrittore.
Allontano il diario spingendolo fino all’angolo della
scrivania e mi posiziono davanti alla tastiera. Le dita sui tasti scorrono
veloci e dopo tanto tempo mi libero, almeno un po’, e mi sento meno solo. Meno
solo anche se lei è sempre con me.
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